La parola archivio ha una storia lunghissima. Si parte dall'antichità greca, dal palazzo dell'arconte (ἀρχεῖον), in età storica supremo magistrato di Atene, che, probabilmente, lì teneva in deposito i suoi atti. Si attraversa poi lo Ionio per approdare nel mondo latino, in cui la parola viene ripresa nelle forme archium, archivum e infine, nella latinità tarda, archivium. La parola acquisisce il senso tecnico che ci appartiene ancor oggi solo a partire dall'epoca ellenistica.
Dunque la radice semantica del termine affonda nell'idea della 'conservazione e custodia di documenti', su cui si basano l'ordinamento giuridico, i rapporti sociali e la convivenza civile. È da quella radice che si sono originati tre significati fondamentali che il termine ha acquisito nel linguaggio comune e in quello utilizzato dagli addetti ai lavori:
1. l'insieme della documentazione prodotta e ricevuta e conservata da un ente, una famiglia o una persona nel corso della propria attività e della propia esistenza;
2. il luogo fisico, il locale in cui quella documentazione è conservata;
3. l'istituzione che ha come scopo la conservazione degli archivi così come sopra definiti.
Gli archivi fanno parte delle nostra vita di tutti i giorni. Nei nostri archivi personali conserviamo i nostri documenti, contratti, bollette, fotografie e lettere private. Ma anche nello svolgere un'attività lavorativa, una professione, produciamo archivi. Le raccolte di appunti, testi, bozze di uno scrittore, le schede sui pazienti che un medico tiene nello studio, i faldoni con la documentazione delle cause in uno studio di avvocati fanno parte dell'archivio professionale.
Quasi ogni attività economica comporta la creazione di un archivio: in un'impresa, di qualsiasi dimensione, è fondamentale conservare l'atto costitutivo della società, i documenti contabili, la corrispondenza con fornitori e clienti, i fascicoli relativi al personale. Si tratta di un archivio che quotidianamente cresce, fino a quando la ditta continua ad operare.
Le amministrazioni pubbliche sono delle grandi produttrici di archivi. Lo sono gli uffici dello Stato (per es., le prefetture, le questure, i ministeri), i comuni, le regioni, gli enti pubblici. Ogni ufficio, per operare, svolgere la propria attività, fornire servizi ai cittadini, ha bisogno di acquisire e produrre documenti che, nel corso dell'attività, confluiscono in un archivio.
La vita di un archivio si articola in tre fasi: archivio corrente, archivio di deposito e archivio storico.
L'archivio corrente è quello attualmente in uso e in continuo accrescimento; per necessità pratiche, i fascicoli che compongono l'archivio corrente vengono conservati in locali facilmente accessibili o nella stessa stanza degli impiegati che li utilizzano.
Nell'archivio di deposito (o intermedio) vanno a finire i fascicoli relativi alle pratiche ormai concluse, che non servono più alle attività quotidiane ma che conviene conservare temporaneamente, perché possono essere utili come prova di diritti e condizioni giuridiche, come testimonianza dell'operato di singoli e di istituzioni, come precedente amministrativo. Nell'archivio di deposito si seleziona anche la documentazione che si può scartare, perché priva di interesse, e quella che vale la pena di conservare permanentemente e che è destinata a confluire – quella statale dopo 30 anni – nell'archivio storico. Conservati in apposite istituzioni (gli Archivi di Stato) o comunque in sezioni separate (nei comuni, nelle regioni, negli enti pubblici), gli archivi storici sono a tutti gli effetti beni culturali e come tali sono tutelati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio. Da strumenti e residui di una determinata attività pratica, diventano fonti per la conoscenza del passato e depositari della memoria collettiva di tutti noi.