L'archivio storico della Curia arcivescovile di Chieti custodisce fondi importanti per la ricostruzione della storia locale, legato com'è alle vicende dell'antica diocesi teatina. Chieti è senz'altro fra le attuali sedi episcopali abruzzesi quella che vanta una più lunga e più salda continuità storica. Le origini della diocesi teatina affonderebbero le loro radici nei primi secoli dell'era cristiana ma l'antichità e la continuità storica dell'organizzazione episcopale di Chieti trova precisi riscontri documentari solo dalla prima metà del sec.IX. La prima notizia dell'esistenza in Chieti di una chiesa cattedrale sede vescovile ci è offerta dalla costituzione Institutio de clericis ad normam vitae canonicae redigendis, deliberata dal Sinodo teatino celebrato a Chieti dal vescovo Teodorico il 12 maggio 840; nello stesso documento Teodorico fa riferimento al suo predecessore, senza specificarne il nome. Pertanto è corretto determinare l'esistenza della diocesi di Chieti agli inizi del IX secolo, quando nell'ottica della politica carolingia, la nuova organizzazione civile porterà la diocesi di Chieti ad inglobare l'intero territorio di Ortona (antica diocesi) ed il territorio di Vasto(e la sua struttura di Chiesa). L'ampiezza della diocesi teatina e la distribuzione nel suo territorio di vari monasteri benedettini saranno evidenti in una lettera del 2 maggio 1059, inviata dal papa Niccolò ad Attone, vescovo di Chieti. Con i Normanni, il vescovo teatino ebbe il riconoscimento del controllo di diritto e di fatto, sulla città e la facoltà di esercitare la giurisdizione civile di appello; inoltre, attraverso il succedersi di varie donazioni di castelli, avrà il titolo, conservato fino al Concilio Vaticano II, di barone di Villamagna, Orni, Forcabobolina (S. Giovanni Teatino), e Astignano o Cerratina, e molto più tardi (tra XV-XVI sec.) anche quello onorifico di conte di Chieti. Sebbene l'archivio arcivescovile di Chieti fosse ritenuto uno dei più ricchi di Abruzzo per il numero di pergamene che vi si conservano è da tener presente che il fenomeno della dispersione documentaria era già in fase avanzata nel sec. XVII, infatti, Ferdinando Ughelli, aveva constatato, che sebbene la conservazione dei codici appariva abbondante, benché non esattamente quantificabile, scarno si era invece dimostrato il rinvenimento della documentazione membranacea. Bisognerà attendere ancora quasi tre decenni, per giungere a un primo tentativo di riordinamento dell'archivio di Chieti. Tale lavoro venne condotto a termine dall'archivista don Antonio Balducci nel 1926, data questa della pubblicazione del Regesto delle pergamene della curia arcivescovile di Chieti. Nel frontespizio è indicata chiaramente l'intenzione di condurre il lavoro su tutto il materiale pergamenaceo ma al primo volume (1006-1400) non ne seguirono altri.
Nel 1979, ottenuto il nulla-osta del Ministero per i beni culturali ambientali, la Sovrintendenza Archivistica dell'Abruzzo-Molise d'intesa con la curia arcivescovile, predispose un progetto per la regestazione del fondo pergamenaceo con l'impiego di personale assunto ai sensi della legge 285/1977, non portato a termine. Nel 1982 l'archivio è stato dichiarato di notevole interesse storico dal Ministero per i beni culturali ambientali e nel 1985 è stato trasferito in locali più idonei sia alla conservazione che alla consultazione. Al riordinamento del fondo pergamenaceo è seguita una prima fase di inventariazione sommaria dell'archivio cartaceo. Si è proceduto poi al restauro di diversi fondi, quali quello delle sante visite, dei bollari, diversorum e sinodi. Per il fondo pergamenaceo è in atto un lavoro di regestazione del fondo. L'attuale sede è stata innaugurata nel maggio del 2004.